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29 settembre 2009

Il ricordo di Federico

Falco passa sopra casa: va verso Cortina. Quante volte l’ho visto e quante con il brutto tempo; però questa volta dico: “non invidio per niente l’equipaggio che sta andando incontro al temporale”.

La porta si apre con un impeto che sembra la stiano sfondando: è mio fratello e subito gli chiedo “c’è un soccorso?” e già mi sto alzando immaginando la risposta “sì”, solo non so cosa aspettarmi “un gruppo di scout? un fungaiolo? escursionisti su un sentiero? una macchina fuori strada in qualche buco?”…in un attimo arriva la risposta, l’unica cosa che non mi sarei mai aspettato, che mai avrei immaginato. Con la voce strozzata mi dice:
“È andato giù l’elicottero”
“Coooooooosa?” “Dove? Come? Chi?”
“Dario e Marco di sicuro, altri non so” continua “Ma guarda se Zago doveva andare a morire così l’ultimo turno!!!”
Il tempo di prendere l’imbragatura e il casco e metterli nello zaino. Ed in casa è silenzio.

I muscoli delle gambe tremano: altre morti amiche mi hanno fatto sentire questa sensazione, ma mai così profondamente devastante. Mi siedo al tavolo della sala e guardo fuori dalla finestra, da quella finestra da cui un’ora prima ho visto passare Falco. E tiro il fiato, a fondo. Mi rimbombano in testa quelle parole “è andato giù l’elicottero”, mi balena per la testa il titolo del film “black hawk down”; “Falco down” e una nuova ondata di gelo scende in me.

Cammino nel bosco, prendo la pioggia, la prendo volentieri sperando lavi via questo incubo, questa realtà che sta avvolgendo tutto così malignamente. Ricevo telefonate “tutto bene voi? tuo fratello?”; mio fratello è andata dentro a Cortina, mi sembra ovvio: mi ci è voluto un po’ per realizzare che anche lui è un tecnico di elisoccorso.
Sembra ci fosse Spaziani a bordo. La prima cosa che penso è: “tanti associano immediatamente Fabrizio a Falco, è il medico più conosciuto: sarà per questo che mi dicono il suo nome, sarà una di quelle voci che inizia a correre…”
Vado in piazzola. Non si parla molto. Sguardi gonfi, voci roche. Saluti borbottati. Monosillabi. Notizia ufficiale: tutti morti.
Dario e Marco. Uuuuuu, prendo fiato.
Fabrizio. Silenzio. Era vero, non era una voce. Trattengo il fiato.
Mi passano davanti agli occhi tutti i visi degli elitecnici che conosco:
Stefano. Uuuuuu. Lascio andare il fiato.
La piazzola non è vuota. C’è Leone. Penso che quell’equipaggio, quegli uomini e donne, che ho davanti agli occhi solo poco prima hanno fatto la missione, forse, più difficile della loro carriera. Il pilota? E il tecnico? Cos’avranno pensato nel vedere Falco lì in quel torrente mentre stavano arrivando? E la Zilio? Pensieri irrazionali si accavallano. E l’infermiere? Poi vedo Piller, la sua espressione mite e penso che la vita gliele mette giù davvero pesanti.
Leone decolla…no, non è lo stesso rumore.
Non è più quel suono che tanto mi piace ascoltare.

Torno a casa, che ci sto a fare qui? Vorrei andare a salutare quelli della centrale: Emma, Cecilia, Giovanna, il tecnico di centrale e gli altri ma non ho parole da dire, non ce ne sono.

La sera passo per di là, da lontano vedo la piazzola illuminata; il primo pensiero, quello solito: sta arrivando un elicottero. Sono abbastanza conscio da non pensare sia Falco. Penso a Leone. Poi mi dico che il volo notturno non c’è comunque.
La luce strobo accesa, la manica a vento e la piazzola illuminate: erano per Falco quando tirava tardi.
Lo stomaco si accartoccia come una foglia d’autunno.
In mezzo alla piazzola un mazzo di fiori, segno delicato e brutale della realtà.
La gola si chiude in uno spasmo.
Stanotte le luci sono accese, resteranno accese. Falco non tornerà.

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