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09 maggio 2008

Alessandra

Alessandra è una bambina di quasi tre anni. Li compirà a fine anno. Non ha i capelli ricci. Mossi direi, corti. E’ piccola come può esserlo una bambina di quasi tre anni. Ieri giocava in giardino. Più che un giardino un parco vero  proprio che circonda una bella villa al confine della provincia di Treviso con quella di Pordenone. La mamma stava falciando l’erba. Lei immagino gironzolasse nei dintorni attirata dalla sua seconda primavera, forse la prima nella quale poter camminare da sola, correre, scoprire fiori, colori, insetti. Forse correva anche, instabile sulle sue gambe al primo vero appuntamento con una corsa non sorretta dalla mano dei genitori. Una giornata calda piena di cose da esplorare, anche il laghetto di casa deve essere stata una attrazione irrinunciabile. Il rumore della falciatrice deve aver coperto il tonfo in acqua o forse solo la scivolata. Di sicuro ha coperto qualche grido di aiuto e quando la falciatrice si è spenta ed Alessandra non si trovava ormai era troppo tardi. La mamma ‘ha vista che galleggiava in quel laghetto.

Noi siamo partiti di corsa. Ho messo in moto i motori quasi insieme, sono schizzato via cercando la rotta più breve con il percento metro fiso al 95% forse anche il 98. In mezzo, montagne da scavalcare e quei 320 chilometri orari che se avessi potuto avrei superato per arrivare prima. Dritto, veloce, e quella sensazione di essere lento e non arrivare mai. Quella pianura dopo le montagne che non finisce mai e giù in discesa subito dopo Aviano per guadagnare la massima velocità che benché sia la massima pare lentissima mentre inizi a sforzare lo sguardo per trovare quel laghetto prima di quanto ti sia possibile come se il vederlo potesse accorciare il tragitto. Eccolo, ecco anche il fumogeno e l’ambulanza. Atterriamo, io il mio lavoro l’ho fatto ora spero in un miracolo. Galli prende tutto e si lancia fuori dall’elicottero, sale in ambulanza, c’è solo da aspettare e pregare. Si pregare…io che l’altro giorno ho detto al prete che se voleva gli offrivo un bicchiere di vino ma di far benedire la casa non se ne parla…io ora prego come penso di ricordare,  come scopro di ricordare.

Non sono l’unico. C’è una madre disperata fuori dall’ambulanza che piange. C’è un ragazzino, duro come un palo, piange senza lacrime e tiene  i pugni chiusi a strizzare i pollici. Ondeggia in avanti ed indietro e stringe quei pugni alla fine di due braccia tese e dure come rami secchi. C’è una bambina piccola che ogni tanto abbraccia la madre e si lascia andare ad un pianto forse incosciente. Siamo tutti rivolti verso l’ambulanza ciascuno alla propria distanza. Preghiamo tutti, ne sono sicuro, forse anche i due Carabinieri tra le domande che sono costretti a fare. Tutti preghiamo, lo sento, è un’energia forte che si percepisce e non posso non domandarmi se tutta quella volontà, quell’energia che esce da lacrime trattenute, da corpi tesi, da pugni serrati, se tutta questa energia non possa fare il miracolo. Come possa una forza così grande non raggiungere il destinatario di quelle preghiere e se riesca, Lui, a rimanere sordo, cieco, crudele, cattivo….. non lo so, non ho risposte, posso solo continuare a pregare sentendo uno sforzo quasi fisico nel farlo con tutta l’energia mentale che ho dentro.

L’ambulanza sussulta ritmicamente, lo fa da quando il medico c’è entrato. Massaggio cardiaco. Prego. Continua a sussultare. Esce di corsa l’infermiere, mi chiede il defibrillatore, torna dentro, ancora sussulti, prego. Esce l’autista, mi chiede la barella, torna dentro, ancora sussulti, ancora prego.

Infine escono tutti, anche Alessandra adagiata su quella barella che per lei è lunghissima, ne occuperà un terzo. Michele la sta massaggiando come si massaggia un bimbo così piccolo, con due  dita. Il torace affonda e si rialza, ritmicamente. Alessandra è come l’ho descritta. Piccola, quasi riccia, pallida. Gli occhi semiaperti. Mi fisso su di una manina, la sinistra, che sembra tenersi al bordo della barella, sì, sembra proprio che si aggrappi al bordo in metallo. Prego, forse si sta veramente tenendo nonostante il pallore, malgrado gli occhi senza vita, malgrado quelle due dita abituate a scalar rocce che affondano nello sterno con una delicatezza e con una forza che contrastano tra loro. Prego, preghiamo e continuo a farlo mentre voliamo verso Treviso, mentre parlo con il controllo, mentre abbasso il carrello, mentre spengo i motori e mentre vedo, per l’ultima volta, i riccioli di Alessandra sparire dietro la porta del 118 di Treviso.

Abbiamo tutti pregato invano. Alessandra è morta o forse già lo era.

Ciao Alessandra, credimi se ti dico che abbiamo fatto il massimo, credimi se ti dico che l’energia delle nostre preghiere avrebbe smosso le montagne, credimi se ti dico che ho visto una guida alpina piangere dopo averti fatto il massaggio cardiaco per un tempo infinito,  credimi se ti dico che, malgrado tutte le evidenze, ancora prego perché ci sia qualcuno ad accoglierti e mostrarti tutte quelle meraviglie che avevi appena iniziato a scoprire.

5 commenti:

  1. Struggente, doloroso, profondo.

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  2. è bello pensare che ci sono persone come te che scorrazzano sopra le nostre teste....
    grazie....
    armando

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  3. Anonimo10:04 PM

    sei la persona piu' meravigliosa del mondo

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  4. Anonimo3:31 PM

    Grazie per quello che fate, grazie perche' ogni giorno mettete la vostra vita in gioco per salvare la nostra. Era tanto che non piangevo, il mio dolore e' sempre stato fatto di rabbia.
    La vita di Alessandra voglio pensare che continui in un posto bellissimo dove possa essere per sempre felice, anche se non sono un buon cristiano voglio crederlo perche' non puo' essere finita cosi'...

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  5. Anonimo4:01 PM

    Ale abbiamo un marchio che nessuno ci può togliere, anzi ogni tanto qualcuno ci ripassa il fuoco. Un abbraccio vecchio, questa roba non la si augura veramente a nessuno.

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